EXHIBITIONS

疫情
Yiqing
P A N D E M I C
pens on paper, 50x70cm, 2020







Forse, l’approssimazione più flagrante all’universo su scala virale è quello che squaderna Angelo Sturiale: Pandemia si allinea alla serie che A.S. ha realizzato nelle sue escursioni condotte sui sentieri incrociati e interrotti, sull’innesto di radici che necessitavano di un terreno comune, di uno spazio offerto da una capacità di astrarre o al contrario, da intransigenze scontate da una formazione o un’altra, nella varietà di espressioni – pittura, musica, poesia – che formano in un lui l’organismo vitale e vivo quanto multiforme. Districare una trama dall’altra, fra pandemia e panspermia, disseminazione vitale a un livello di soglia fra organico e non, segno, nelle sue articolazioni verbali, sonore, visive, virali, è arduo quanto inutile: il ritmo, che non è un segno a sua volta, ma fa da principio attivo nascosto, da motore immobile, dispensa dal fissare un limite, che sarebbe solo portare il ritmo là dove non c’era forma, movimento, segno-seme dell’uno e dell’altra. A.S. sembra approntare una mappatura genomica di un’odissea che reclama il suo poema delle origini, la morfogenesi che consegni, ben più che il suo personale perì physeos, un lotto di quella terra che solo i segni da lui autorizzati intravvedono e cui è dato varcarla per disegnarne i confini mobili con il loro cammino. Ma è solo l’effetto distorsivo dell’estensione di una esperienza linguistica che in A.S. assume caratteri che non si lasciano determinare da modello che non sia quel ritmo che e scandisce le metamorfosi: e si cimenta o viene sospinta su assetti e direzioni diverse. Le sue sintesi assemblano in teorie organiche glifi di stelle marine o celesti, agguerrite compagini di folgori, cellule flagellate lungo asintoti distanti da ogni percezione ne dia o chieda conto. Va in scena la gemmazione di festoni gioiosamente neghittosi, ma combattivi; docili, ma di un’indolenza criogenica; di germi facinorosi schierati su uno spartito musicale che, come una lastra medica o un vetrino, non registra le note, ma intercetta la scia che ne rimane in un morphing da cellula monodica a particella visiva, la calligrafia tracciata dal suono nell’aria che la pronuncia, la visione di una rappresentazione musicale il cui percorso le condurrà a invalicabili orizzonti acustici, a sterminate utopie sonore. 

Perhaps the most flagrant approximation to the universe on a viral scale is what Angelo Sturiale squares: Pandemia aligns with the series that A.S. has made in his excursions conducted on the crossed and interrupted paths, on the grafting of roots that needed a common ground, a space offered by an ability to abstract or conversely, by intransigencies discounted by one formation or another, in the variety of expressions-painting, music, poetry-that form in him the organism as vital and alive as multiform. To disentangle one plot from the other, between pandemic and panspermia, vital dissemination at a threshold level between organic and non-organic, sign, in its verbal, sonic, visual, viral articulations, is as arduous as it is useless; rhythm, which is not a sign itself, but acts as a hidden active principle, as an immobile engine, dispenses with setting a limit, which would only be to take rhythm there where there was no form, movement, sign-seed of one and the other. A.S. seems to be preparing a genomic mapping of an odyssey that claims his poem of origins, the morphogenesis that delivers far more than his personal "perì physeos", a plot of that land that only the signs he authorized glimpse and to which it is given to cross it to draw its moving boundaries with their path. But it is only the distorting effect of the extension of a linguistic experience that in A.S. takes on characters that do not allow themselves to be determined by any model other than that rhythm that punctuates metamorphosis, and it ventures or is propelled into different set-ups and directions. Its syntheses assemble into organic theories resembling starfish or celestial stars, fierce squadrons of thunderbolts, and cells scourged along asymptotes far from any perception that gives or demands an account of them.There goes the budding of festoons joyously neghittous but combative; docile but of cryogenic indolence; of factious germs deployed on a musical score that, like a medical plate or a glass slide, does not record notes, but intercepts the trail that remains in a morphing from monodic cell to visual particle, the calligraphy whose path will lead them to impassable acoustic horizons, to endless sound utopias.

Rocco Giudice, per Scalamatrice33, Caltagirone, Sicily, Italy








“Nevi-Lave”: metafore o allegorie di colori bianchi e neri. Poche tele, tra un percorso in cui si annusano o intravedono tracciati di segno e silenzio, di suono e di spazio. I bianchi come nevi lucenti, solari o lunari, su neri ardenti, su lave asciugate dal tempo o su pietre e rocce (o)scure. Leggere simmetrie o impalpabili assimetrie su superfici ruvide e secche, che sanno d’abisso e di cenere. Ma anche molteplici dettagli e saturazione dello spazio della tela nera, tra densità e labirinti, tra microstrutture e interrogativi che l’occhio si chiede di continuo in un tempo sospeso a cogliere sensi e significati, analogie e pensieri, risposte o ricordi nascosti tra la veglia e l’inconscio.

"Nevi-Lave": metaphors or allegories of black and white colors. a few canvases strewn along a path where traces of sign, silence, sound, and space can be smelled or seen. Whites as shining snow, solar or lunar, on blazing blacks, on time-dried lavas, or on dark stones and rocks. On rough, dry surfaces with minor symmetries or impalpable asymmetries, smelling of abyss and ash. But also multiple details and saturation of the space of the black canvas, between densities and labyrinths, between microstructures and questions that the eye continuously asks itself in a suspended time to grasp senses and meanings, analogies and thoughts, answers or memories hidden between the waking and the unconscious.








NIHON NO ENIKKI
 Japanese Diary (2006/13)

22 fogli di un diario non verbale “disegnato” in Giappone: 22 giorni simbolici, una durata temporale in cui si racchiude, condensata, l’essenza del mio soggiorno a Tokyo nel 2006, tra grafismi familiari e immaginari nipponici assai personali, tra frammenti di partiture improbabili e schemi strutturali di composizioni future, tra riflessioni e annotazioni sonore work in progress e sperimentazioni visive influenzate certamente da anime e manga, ma anche da esplorazioni di pittografie e iconografie maya/azteche, provenienti da un primo contatto distratto ma appassionato - fin dall’anno precedente alla residenza a Tokyo - con la cultura messicana. “Diario Giapponese” è un documento personalissimo, ma anche una preziosa bozza di input creativo alla ricerca di una possibile struttura concettuale di una graphic novel attualmente in fase di ideazione.

22 sheets of a nonverbal diary "drawn" in Japan: 22 symbolic days, a temporal duration in which is contained, condensed, the essence of my stay in Tokyo in 2006, between familiar graphisms and very personal Nipponese imagery, between fragments of improbable scores and structural schemes of future compositions, between work-in-progress sound reflections and annotations and visual experimentations certainly influenced by anime and manga, but also by explorations of maya/aztec pictographies and iconographies, coming from a first distracted but passionate contact - since the year before the Tokyo residency - with Mexican culture. "Japanese Diary" is a highly personal document, but also a valuable draft of creative input in search of a possible conceptual structure for a graphic novel currently in the conception stage. 

 




MUMONKAN (The gateless barrier)
per flauto shakuachi (2006)

Composta originariamente per shakuachi – ma interpretabile anche con altri strumenti a fiato – Mumonkan è ispirata all’omonima scrittura Zen. Ideata e realizzata durante la residenza Canon Foundation presso Tokyo University of Fine Arts and Music come visiting artist e ricercatore in musica tradizionale giapponese, la composizione è dedicata al grande interprete di shakuachi Sensei Christopher Blasdel Yohmei. Senza voler imitare sonorità asiatiche o ripercorrere immaginari esotici New Age o pseudo nipponici, il lavoro intende osservare lo shakuachi da una prospettiva occidentale, ma inglobando in maniera creativa tecniche esecutive proprie dello strumento e principi estetico-filosofici Zen. Alle 48 sezioni dell’originale Mumonkan corrispondono 48 frammenti sotto forma di carte, che l’esecutore, appena entrato in scena e dopo averle mescolate, dispone per la lettura in una sequenza orizzontale, come una partitura. L’assetto imprevedibile dei frammenti metterà a dura prova il flautista, il quale, non potendo conoscere a priori l’ordine delle carte, è sfidato a “ri-comporre” in tempo reale l’opera in qualsiasi modo siano disposti i frammenti. Ma per far ciò, si trova di fronte ad un grosso limite (in realtà uno stratagemma esecutivo ed “energetico”): dovrà dare compiutezza espressiva e continuità grammaticale alla composizione, attraverso inalazioni ed esalazioni uniche e mai interrotte, incontrollate o distratte, anche se di velocità e durata variabile, secondo la propria fisiologia e gusto estetico. Le inalazioni saranno espresse da pause/silenzi che introducono o seguono le esalazioni, ovvero i momenti di vera e propria presenza sonora dell’interprete col proprio strumento.

Originally composed for shakuachi-but interpretable with other wind instruments as well, Mumonkan is inspired by the Zen scripture of the same name. Conceived and realized during the Canon Foundation residency at Tokyo University of Fine Arts and Music as a visiting artist and researcher in Japanese traditional music, the composition is dedicated to the great shakuachi performer Sensei Christopher Blasdel Yohmei. Without wishing to imitate Asian sonorities or retrace exotic New Age or pseudo-Nipponese imagery, the work intends to observe the shakuachi from a Western perspective, while creatively incorporating the instrument's own performance techniques and Zen aesthetic-philosophical principles. Corresponding to the 48 sections of the original Mumonkan are 48 fragments in the form of cards, which the performer, upon entering the stage and after shuffling them, arranges for reading in a horizontal sequence, like a score. The unpredictable arrangement of the fragments will put a strain on the flutist, who, unable to know the order of the cards a priori, is challenged to "re-compose" the work in real time in whatever way the fragments are arranged. But to do so, he is faced with a major limitation (actually an executive and "energetic" stratagem): he will have to give expressive fulfillment and grammatical continuity to the composition, through unique and never interrupted, uncontrolled or distracted inhalations and exhalations, albeit of varying speed and duration, according to his own physiology and aesthetic taste. The inhalations will be expressed by pauses or silences that introduce or follow the exhalations, i.e., moments of the performer's actual sonic presence with his instrument.

True cross-cultural understanding of non-western music, I find, involves a certain kind of personality that is able to quietly observe and absorb the essentials of a culture both subjectively and objectively. It also requires a discipline and master of the particular métier.
Angelo Sturiale, I believe, has both. Near the end of his residency in Japan, he composed a solo shakuachi piece for me, entitled “Mumonkan, the Gateless Barrier”. This piece consists of red and black symbols meticulously drawn on 48 fragments of paper. Each symbol indicates a pitch direction and length, but it is up to the performer to decide which pitch and exactly how to execute the timing. The individual cards are shuffled and laid out in front of the performer: each performance is different, according to how the cards fall.
This piece fascinated me, since it allowed the performer much leeway in creating the piece while providing structure and guidance. It also impressed me in how Angelo was able to take a very Japanese concept, like the Zen “Mumonkan” concept (one interpretation of the gateless barrier is the quotidian workings of the rational mind which prevents us from seeing the larger, more spiritual picture) and successfully incorporate it into a piece for shakuachi, which also has much connection with the Zen tradition (another interpretation of a gateless barrier is the breath).

Christopher Blasdel Yohmei


BYE BYE JAPAN (2006)


Documento o souvenir, materiale o studio di riflessione teorica per usi futuri, bozza di applicazione per cartoon o videoarte, o altro ancora o persino nulla di tutto questo. 
E’ speculare al lungo disegno di 22 pagine del “diario giapponese”: nella lettura da sinistra a destra, nel tentativo di voler invitare il lettore a perdersi tra i segni e dettagli che provengono dalla carta ideale o frames del video, in senso sincronico e diacronico. 
Girato mediante un primigenio modello di videocamera con bassissima risoluzione e tecnologia assai basilare, il video intende fornire occasioni di visione “altra” del materiale visivo a partire da tali limiti tecnici ed estetici: gli oggetti e i segni infiniti che appaiono e si dissolvono dalla cornice della finestra del treno da cui sono state registrate le immagini, intende incuriosire e sedurre l’occhio, provocare voyeurismi latenti, stimolare nei lettori ricordi personalissimi ed analogie legate ai (loro) viaggi e addii da soggiorni o residenze estere assai felici o assai tristi. 
“Bye Bye Japan” dunque come metafora ironica di tutti gli adieux, come forma di congedo definitivo da un luogo o da un amore, come irrefutabile evidenza di promessa di abbandono perenne e irreversibile di una parte di sé, da un tempo e spazio emotivo o geografico da calpestare e rimuovere dalla propria memoria.

Document or souvenir, material or study of theoretical reflection for future use, draft application for cartoon or video art, or more, or even none of the above. 
It is mirrored in the long 22-page drawing of the "Japanese diary": in reading from left to right, in an attempt to invite the reader to get lost among the signs and details that come from the ideal paper or video frames, in a synchronic and diachronic sense. 
Shot by means of a primitive model of a video camera with very low resolution and very basic technology, the video intends to provide opportunities for "other" viewing of the visual material from such technical and aesthetic limitations. The infinite objects and signs that appear and dissolve from the window frame of the train from which the images were recorded, intend to intrigue and seduce the eye, provoke latent voyeurism, and stimulate in the reader very personal memories and analogies related to (their) travels and farewells from very happy or very sad foreign sojourns or residences. 
As an ironic metaphor for all adieux, "Bye Bye Japan" serves as irrefutable evidence of the promise of perpetual and irreversible abandonment of a part of oneself, from an emotional or geographic time and space to be trampled on and removed from one's memory.


STANZA D'ARTISTA - Catalogo delle Pietre (2013)
Catania Art Gallery, Italy
13-20 september 2013


Mammut Art Space
dal 15 febbraio 2013 al 21 marzo 2013

HORROR VACUI è il titolo che da nome alla mostra e la tematica “nascosta” che lega questa nuova produzione del compositore e artista visivo siciliano che si snoda attraverso nove tele nere disegnate da inchiostri rigorosamente bianchi. 
Come spesso accade in altri lavori di Sturiale, la relazione tra la composizione musicale e quella grafica è presente anche in questa mostra, in cui la “paura del vuoto” dei supporti neri è esorcizzata e negata attraverso lo scrupoloso e spesso ossessivo riempimento grafico, volto a obbligare indirettamente l’osservatore alla contemplazione dettagliata dei segni e delle loro fantasiose articolazioni micro e macro strutturali. 
Le opere di grande impatto visivo per il forte contrasto nero e le minuziose e stratificate linee realizzate solo con l’uso esclusivo di penne a inchiostro bianco, sarà aperta al pubblico dal 15 febbraio al 21 marzo 2013. Le tele hanno le dimensioni di 150x50cm. 

HORROR VACUI is the title that gives the exhibition its name and the "hidden" theme that binds this new production by the Sicilian composer and visual artist that unfolds through nine black canvases drawn from strictly white inks. 
The relationship between musical and graphic composition is also present in this exhibition, as it is in many of Sturiale's other works, in which the "fear of emptiness" of the black supports is exorcised and denied through the scrupulous and often obsessive graphic filling, aimed at indirectly forcing the viewer to the detailed contemplation of the signs and their imaginative micro and macro-structural articulations. The visually striking works, with their strong black contrast and meticulous, layered lines made only with the exclusive use of white ink pens, will be open to the public from Feb. 15 to March 21, 2013. The canvases have dimensions of 150x50cm. 



SUONI DA DECIFRARE
Sperimentazione e fantasia 
nelle partiture musicali di Angelo Sturiale
Catania, Feltrinelli - 2/29 ottobre 2012



photo Damiano Meo


La mostra "Suoni da decifrare" comprende ventuno pagine estratte da partiture musicali del compositore catanese Angelo Sturiale, la cui ricerca è contraddistinta dall'invenzione di sistemi di notazione musicale non convenzionali. Gli spartiti in esposizione, scritti per varie formazioni strumentali e vocali, non sono solo opere grafiche da apprezzare esteticamente per la loro affascinante complessità e cura dei dettagli, ma rappresentano, prima di tutto, codici o mappe da decifrare secondo apposite legende che rivelano all'interprete nuovi significati di segni e simboli legati all'esecuzione musicale.
L'esigenza di inventare nuovi linguaggi musicali da scrivere ed interpretare con strumenti acustici - racconta Angelo Sturiale - è per me intrinsecamente legata all'idea di reinventare continuamente le maniere di relazionarmi con la realtà del mondo e le sue contraddizioni attraverso la musica. Scrivere nuove forme di organizzazione del suono non costituisce solo una necessità creativa, ma nutre pure quelle parti di me da cui scaturiscono sogni di nuovi scenari e consapevoli fughe dalla realtà oltre che incontenibili desideri di utopia.

The exhibition "Sounds to Decipher" includes twenty-one pages extracted from musical scores by the Catanese composer Angelo Sturiale, whose research is marked by the invention of unconventional systems of musical notation. The scores on display, written for various instrumental and vocal ensembles, are not only graphic works to be appreciated aesthetically for their fascinating complexity and attention to detail, but represent, first and foremost, codes or maps to be deciphered according to special legends that reveal to the interpreter new meanings of signs and symbols related to musical performance. 
"The need to invent new musical languages to be written and interpreted with acoustic instruments," Angelo Sturiale tells us, "is for me intrinsically linked to the idea of continually reinventing ways of relating to the reality of the world and its contradictions through music. Writing new forms of sound organization not only constitutes a creative necessity but also nourishes those parts of me from which spring dreams of new scenarios and conscious escapes from reality, as well as irrepressible desires for utopia.

photos Rossella Sturiale





Non si può spiegare a parole né descrivere in una lista di cose o atti la sequenza che porta a riconoscere l’inizio e la fine di un disegno. È una combinazione di fattori, di sinergie, di elementi logici e irrazionali, di temperature interiori ed esteriori, di umori, di casualità, di estremo calcolo e meccanica muscolare che fa sì che un insieme di tratti ordinatissimi alla vista prenda corpo su una superficie cartacea. È questione di sistema, di chimica, di fisica-chimica, di binomio perfetto tra carta e penna, tra inchiostro e colore, tra curve e rette, tra meditazione e caos mentale, tra precisione e abbandono, tra istinto e rigore.
Angelo Sturiale è un artista poliedrico, un compositore e un poeta. Egli è un onnivoro ricercatore di armonie.
L’arte di Angelo Sturiale si nutre solo di se stessa e della propria ossessione, nasce da un autentico principio di <<necessità interiore>>. Ed è viscerale perché, scevra dalla compiacenza della mimesi della tradizione culturale occidentale, conduce alla sorgente dell’azione creativa ed alla selvaticheria delle pulsioni.
La storia dell’arte è storia dell’intensità e ossessione è la parola-chiave per rimemorare, trasfigurare e sopravvivere senza altra finalità che il proprio registro esistenziale. La <<mitologia individuale>> di un artista, parafrasando Harald Szeemann, è un luogo spirituale ed esclusivo in cui il singolo pone quei segni, simboli e segnali che per lui significano il mondo: un tentativo di opporre al grande disordine del mondo il proprio ordine immaginario, che nasce sempre da un’ossessione, da una necessità compulsiva di creare al servizio di un percorso interiore.
La ricerca di Angelo Sturiale nel campo della musica si contraddistingue per la sua indagine sulla relazione tra segno e suono. A partire dalla paziente pratica manuale di scrittura su pentagramma, Angelo Sturiale sviluppa una poetica del disegno che si emancipa dalla referenzialità sonora e dalle funzionalità solitamente legate all’esecuzione musicale.
Le sue opere nascono dall’esclusivo uso di penne ad inchiostro e supporti bianchi o neri: l’artista compone, scompone e ricompone architetture, geografie e paesaggi interiori, sapientemente intessuti in forme ideogrammatiche e grovigli magmatici e filamentosi. Segni rapidi, calligrafie arabescate e ghirigori labirintici costruiscono griglie instabili che si espandono senza confini. Non vi è centro né gerarchie: un disegno all over (a tutto campo), denso fino alla adiastematicità (assenza di intervalli), dove il dettaglio fino al cesello è la prima cosa che si coglie.
La lezione dell’Oriente fa il resto: dall’arte giapponese deriva la visione priva di prospettiva, la fluttuazione delle figure nello spazio, la ricerca dell’asimmetria della composizione, il vuoto (come pienezza del nulla) al centro della tela, l’abbondanza della decorazione, i campi di colore piatto, la stampa in nero della tecnica xilografica.
“Seibutsu”, infatti, è un termine giapponese che significa “organismo, qualsiasi forma di essere vivente”. Le mappe di Angelo Sturiale sembrano respirare e vibrare sotto gli occhi dello spettatore. L’espansione organica ed incessante dei grafemi sul foglio suggerisce, in senso sinestesico, la propagazione di suoni nell’aria. Nonostante non vi sia alcuna sollecitazione acustica, i disegni di Angelo Sturiale costituiscono un invito alla ricostruzione mentale di un’opera visiva che implica anche un “sentire” musicale. Transcodificando la scrittura di crome e biscrome nei quattro spazi o nelle cinque righe di un pentagramma in significanti attinti da culture diverse, Angelo Sturiale è il compositore di un tracciato musicale destinato ad un orchestra inesistente all’orecchio ma poderosa all’occhio. 

Giusi Affronti

One cannot explain in words nor describe in a list of things or acts the sequence that leads to recognizing the beginning and end of a design. It is a combination of factors, of synergies, of logical and irrational elements, of inner and outer temperatures, of moods, of randomness, of extreme calculation, and muscular mechanics that makes a set of visually ordered strokes take shape on a paper surface. It is a matter of system, of chemistry, of physics-chemistry, of the perfect combination of paper and pen, of ink and color, of curves and straight lines, of meditation and mental chaos, of precision and abandon, of instinct and rigor. 
Angelo Sturiale is a multifaceted artist, a composer and a poet. He is an omnivorous seeker of harmonies. 
Angelo Sturiale's art feeds only on himself and his own obsession; it is born from an authentic principle of "inner necessity. And it is visceral because, free from the complacency of the mimesis of Western cultural tradition, it leads to the source of creative action and the wildness of drive. 
Art history is the history of intensity and obsession is the key-word for remembrance, transfiguration, and survival with no other purpose than one's own existential register. The "individual mythology" of an artist, paraphrasing Harald Szeemann, is a spiritual and exclusive place in which the individual places those signs, symbols, and signals that signify the world to him; an attempt to oppose to the great disorder of the world his own imaginary order, which always stems from an obsession, from a compulsive need to create in the service of an inner path. 
Angelo Sturiale's research in the field of music is distinguished by his investigation of the relationship between sign and sound. Starting from the patient manual practice of writing on staves, Angelo Sturiale develops a poetics of drawing that emancipates itself from the sound referentiality and functionality usually linked to musical performance.
His works arise from the exclusive use of ink pens and white or black supports: the artist composes, decomposes, and recomposes architecture, geographies, and inner landscapes, skillfully woven into ideogrammatic forms and magmatic and filamentous tangles. Rapid marks, arabesque calligraphies, and labyrinthine squiggles build unstable grids that expand without boundaries. There is no center or hierarchy: it is an all-over (all-over) drawing, dense to the point of adiastematicity (absence of intervals), and the first thing one grasps is detail to the point of chisel.
The lesson of the East does the rest: from Japanese art comes the vision without perspective, the fluctuation of figures in space, the search for the asymmetry of composition, the emptiness (as the fullness of nothingness) in the center of the canvas, the abundance of decoration, the flat color fields, the black printing of the xylographic technique. 
"Seibutsu," in fact, is a Japanese term meaning "organism, any form of living being." Angelo Sturiale's maps seem to breathe and vibrate before the viewer's eyes. The organic and incessant expansion of graphemes on the paper suggests, in a synesthetic sense, the propagation of sounds in the air. Although there is no acoustic solicitation, Angelo Sturiale's drawings constitute an invitation to the mental reconstruction of a visual work that also implies a musical "feeling." Angelo Sturiale is the composer of a musical track intended for an orchestra, nonexistent to the ear but mighty to the eye, by transcoding the writing of quavers and bischromes in the four spaces or five lines of a staff into signifiers drawn from different cultures.

 



photos Giuseppe Castellucci






Penna e carta,
note e pentagrammi estesi a grafie,
ove energie e cataclismi si incantano e denudano.
Mi definisco e contengo solo nel tracciato dell’inchiostro.
Attraverso il suo movimento in uno spazio senza geografie,
solo con carta bianca o nero cielo. 
E’ il segno stesso che guida, sì, impazzito e rigoroso 
verso finestre spalancate, scenari da rivedere nascosti 
tra viscere e neuroni, irrazionali e coscienziosi tratti. 
Ricco di noi e voi, interpreto i confini di quelle linee e 
questi mari e alberi e biologie insondabili e tranelli. 
Perché vivo tra polisemie e abissi di fantasie. 
Ed i colori sono dentro i bianchi e i neri, ed i tempi 
e gli spazi ove forme e rebus dialogano e litigano, si 
prova ad indovinare e definire, ludico e filosofico sentire. 
E fisiologico intuire che l’amore e l’armonioso premere 
e rischiare fino all’osso la mano e gli occhi per ridare 
linfa e allegria a direzioni smarrite e stanche. 
Bimbo e vecchio insieme, saggio e grottesco lo scrutare 
insonne dei miei viaggi, il mio girovagare estremo tra le 
albe e notti, una tecnica tramandata a voce silenziosa.

Where energies and cataclysms enchant and denude pen and paper, notes and pentagrams extend to handwriting. I define and contain myself only in the tracing of ink. Through its movement in a space without geography, it creates only white paper or black sky. Yes, it is the mark itself that guides, yes, mad and rigorous Toward wide-open windows, scenarios to review are hidden. Between guts and neurons, irrational and conscientious strokes. Rich in us and you, I interpret the boundaries of those lines and these unfathomable seas and trees and biologies and pitfalls. Because I live among polysemies and fantasy chasms. And the colors are within the whites and blacks, and the times and spaces where forms and rebus converse and quarrel. One tries to guess and define playful and philosophical feelings. And physiological guessing, love and harmonious pressing and risk to the bone, the hand and eyes to restore sap and cheerfulness to lost and weary directions. The peeping sleepless of my travels, my extreme wanderings among the dawns and nights, a technique handed down in silence, child and old together, wise and grotesque. 




Il 9 giugno alle ore 19, presso la galleria Nuova Officina d'Arte a Catania, in Via Firenze 137, Seibutsu Art Studio, in collaborazione con The Bohemian Gallery (Usa), presenta Scrittura del suono, personale di Angelo Sturiale.
Scrittura del suono, dal 9 al 23 giugno, rappresenta la prima retrospettiva in Italia della decennale produzione grafica di Angelo Sturiale, compositore e artista multidisciplinare siciliano la cui ricerca nel campo della musica si contraddistingue per il rapporto tra segno e suono, tra sistemi di notazione musicale non convenzionali e tecniche di composizione acustica in tempo reale.
Ed è proprio a partire dalla minuziosa pratica manuale di scrittura musicale su pentagramma, che Angelo Sturiale ha sviluppato gradualmente negli anni una poetica del segno e disegno che tende all'abbandono della referenzialità sonora e funzionalità solitamente legate all'esecuzione musicale. Si tratta di una ricerca che si traduce nella produzione di opere in cui l'uso esclusivo di penne ad inchiostro e supporti bianchi e neri si fa via via più complesso, articolandosi in forme linguistiche diversamente interpretabili.
Oltre all’esplorazione dei meccanismi di "musicalità senza suono e senza musica", attraverso il trasferimento in una forma di narratività meramente visiva, le mappe grafiche di Sturiale esposte inScrittura del suono ruotano attorno a un obiettivo/ossessione estetica, ovvero la fantasiosa transcodificazione della necessaria e irreversibile sequenzialità delle strutture formali di una composizione musicale ad una creativa e in un certo senso anarchica non-linearità dei tempi di osservazione. Non ultimo, nonostante non vi sia alcuna sollecitazione acustica, i lavori costituiscono un invito alla ricostruzione mentale di un'opera visiva che includa un “sentire” musicale.
Angelo Sturiale è un ricercatore d’armonie, un artista pluridisciplinare, un rabdomante nell’atavica rotta del codice binario dell’inchiostro su carta. Traccia il suo tragitto come lumaca sull’asfalto e raccoglie magma psichico, metabolizzandolo in riformulazioni e interpretazioni (Damiano Meo).
I “seibutsu” di Angelo Sturiale, rigorosamente in bianco e nero, sono coloratissimi! Si sentono suoni che non si odono. Tutta la sua produzione visiva è immaginario sonoro in atto… Nel silenzio. Angelo materializza, trasforma, plasma l’energia con la leggerezza e la precisione di una lucente e risonante lama. Lama che veloce crea, fendendo l’aria con il suono del metallo (Mario Garuti).





INCIPIT PER ASTRAZIONE a mio fratello Angelo
di Giusy Sturiale

Si parte sempre da qualcosa. Un'idea, un pensiero o un sogno. 
Ecco, un giorno un ragazzo aveva un sogno: voleva viaggiare a colori. 
Era d'estate, fuori il sole bruciava i contorni e nella stanza in penombra lui decise di scrivere una lettera. Aveva una speranza, raggiungere nel colore una dimensione e toccare così la giusta nota. Quella lettera aveva un destinatario, una donna che forse lo avrebbe potuto aiutare, e se lo avesse ospitato nel suo paese, lui avrebbe potuto far vivere almeno un colore. 
Non passò molto tempo che la risposta giunse aspettata. Aperta la lettera solo il nero di un no emerse da quelle parole in sequenza e niente altro. 
Spesso i nostri attimi non sono esattamente uguali a come ce li aspettiamo, e se poi abbiamo un sogno ogni istante vorremmo fosse quello giusto per realizzarlo. Non è così. Noi scegliamo un percorso, una strada davanti lunga e dritta o tortuosa e breve. La vita invece sceglie l'istante. E poi ci sono gli istanti che non arrivano mai. Ma quella è un'altra storia. 
Quel ragazzo aveva sempre il suo sogno e che quella donna avesse rifiutato l'ospitalità contava ben poco. Nella sua pagina bianca lui continuava a scrivere, tracciava i contorni di colori e suoni e un passo dopo l'altro avanzava. 
Forse i momenti arrivano quando è il momento. E' solo che l'uomo nella sua limitatezza ha sempre voglia di una certezza. Quel salto nel vuoto gli fa paura, vuole conferma che qualcuno lì sotto lo prenderà in braccio appena arriva. Ma quel ragazzo aveva il suo sogno, era sempre quello, sempre lo stesso. E così si preparò, pensava che per fare quel salto occorreva studiare, sì per lanciarsi nel modo giusto, che cosa o chi ci fosse lì sotto che importanza poteva avere. 
Era passato tanto tempo da quel pomeriggio d'estate seduto al tavolo a scrivere una lettera. Ma che strano, era sempre estate tutte le volte ogni volta che si metteva in viaggio. E ogni viaggio un colore diverso. Era questo il suo sogno. Ma quei colori erano ancora e solo musica, era ancora quello il suo sogno? Forse strada facendo non ci si accorge che il sogno cambia, si rimane aggrappati all'idea e frattanto cambia tutto. E' come un fiume, si sta a guardarlo per ore scorrere davanti tutto uguale, sempre lo stesso. Se solo si facesse un passo avanti o lo si percorresse tutto un passo dopo l'altro, sarebbe diverso. Dove rimane quell'uguale? Quello è passato, e non è rimasto più niente. E quel ragazzo aveva un sogno, ma a passi lenti era avanzato e alla musica adesso, nel suo adesso, c'era anche un tratto. Come di una penna che scorre sola a disegnare contorni. E' foglia per chi vede foglia, è città per chi vede città. E ancora, albero, spiaggia, farfalla, merletto o un volto. Tutto è ciò che vogliamo che sia.

It always starts with something. an idea, a thought, or a dream. 
Here, one day, a boy had a dream: he wanted to travel in color. 
It was in the summer; outside the sun burned the outlines, and in the dimly lit room he decided to write a letter. He hoped to reach a color dimension and thus strike the correct note. That letter had an addressee, a woman who could perhaps help him, and if she hosted him in her country, he could bring at least one color to life. 
It was not long before the expected reply came. When he opened the letter, only the blackness of a no emerged from the sequenced words. 
Our moments are frequently not exactly as we expect them to be, and if we have a dream every moment, we wish it was the right one to realize it. It isn't. We choose a path, a road ahead that is long and straight or winding and short. Life, on the other hand, chooses the instant. And then there are the instants that never come. But that is another story. 
That boy always had his dream, and that the woman had refused hospitality mattered little. On his blank page he kept writing, tracing the outlines of colors and sounds, and one step after another he moved forward. 
Perhaps moments come when it is time. It's just that man, in his limitedness, always craves certainty. That leap into the void scares him. He wants confirmation that someone down there will pick him up as soon as he gets there. But that boy had his dream. It was always that, always the same. And so he prepared himself. He thought that to make that jump it was necessary to study. Yes, to launch himself in the right way, what or who was down there could matter. 
It had been a long time since that summer afternoon sitting at the table writing a letter. But how strange: it was always summer every time he set out on a journey. And each trip is a different color. That was his dream. But were those colors still only music? Was that still his dream? Maybe along the way, you don't notice that the dream changes, you cling to the idea, and meanwhile, everything changes. It's like a river; you stand and watch it flow past for hours, all the same, always the same. If you just took one step forward or went through it all one step after another, it would be different. What remains of the same? That has passed, and there is nothing left. And that boy had a dream, but in slow steps he had advanced, and to the music now, in his now, there was also a stroke. Like a pen that flows alone to draw outlines. It is a leaf for those who see it, and a city for those who see it. And again, a tree, beach, butterfly, lace, or a face. Everything is what we want it to be.