ORCHESTRAL MUSIC

Sub Specie Interioritatis for orchestra (1994)
Ascolta! Requiem for solos, choir and orchestra (1994)
Musica integrale for piano (or mute keyboard) and orchestra with choir ad libitum (1994)
Phantom for large orchestra (1996)
Trascrizione del sogno for large orchestra (1999/2002)
Scrittura del mare for large orchestra/for voice and orchestra (2005) play
Scrittura dei fiori e delle pietre for orchestra and percussions (2005)
Scrittura del cielo o del corpo dopo l’amore for orchestra and choir (2005)
Scrittura dell’aria for wind orchestra (2005)
Scrittura della luce o della migrazione interiore (Inner Emigration) for orchestra (and piano ad libitum) (2006/07)
Catalogo delle nuvole for orchestra and choir (2011)




CATALOGO DELLE NUVOLE
per orchestra e coro (2011)







A Vayu e Varuna, Signori dei cieli e dell'aria 


Assediato ed annoiato dalla dilagante volgarità del suono urbano ed etereo allineato a bassi interessi e facili musiche in-trattenitrici e dis-tratte perfino a se stesse, così come soggiogato pure dall'osservazione pluriennale di cieli altissimi e paesaggi interiori, abbraccio con quest'opera, con modalità e conseguenze consapevolmente estreme, la causa che proviene da anni di fantasiosa ed instancabile iconoclastia, (meglio ichósclastia?) al suono ed alla sua iperpresenza, con conseguenti e karmici inquinamenti ecologici e culturali. 
Si vuole respirare silenzio, non note. Espressioni, non effetti. Sentire, non fare. Non di-mostrare tecnicismi o artigianati, ma trasmettere energie, porsi domande.

Non un solo suono acustico intenzionale dunque: l'orchestra e il coro ci sono, ma sul palcoscenico interpreteranno (attorniati da imposti silenzi...) movimenti, spostamenti di gruppo, per famiglie di strumenti e voci o per articolazioni metrico-ritmiche e "colori" trasparenti, per microaree fisiche o per simmetrie ed asimmetrie musicali ma interiori, ovvero non acustiche. Come ad interpretare con i loro corpi, voci e strumenti musicali, le forme più disparate di nubi attraverso un'orchestra inesistente all'orecchio, invisibile al suono, ma presente a se stessa e ad un pubblico "culturale" che attende sempre e solo suoni-merci, ma che riceverà silenzi e movimenti, trasparenze, ghiacci cerulei e bianche nevi, desideri di abbracci notturni, proiezioni, ossessioni, ritratti tra linee e déjà vu, ricordi o evocazioni di oceani celesti. 

E su queste si costruirà la propria musica interiore, universalis o delle sfere, quei suoni non sonori dell'anahata nadam hindú od il suono mai creato. Il tutto in forma di catalogo, una non-forma invero, in cui sequenzialità e progressioni temporali rimandano a meccanismi di esplorazione interiore ed osservazione-contemplazione proprie di cieli e nuvole, in ogni forma e direzione, colore e dimensione. In tempi e spazi anarchici, che dipenderanno da nient'altro che dall'esistere placidi e leggeri a se stessi.

Con "Catalogo delle nuvole", è lo spettatore non-udente "l'ascoltatore" ideale, ed è a lui e ai suoi amici benedetti che l'opera si rivolge e "dirige" idealmente. La condanna-privilegio del non poter/dover ascoltare il cosmo con orecchie biologiche risuonerà rinnovata e problematica tra loro. E tra noi, comuni udenti, "di nefandezze acustiche di infima qualità" (S. Bussotti).

Cosí come già nel mio ambizioso ciclo orchestrale di "Scritture", quest'opera si inserisce in una tradizione culturale mai esaurita, nonostante i falsi pluralismi, le frammentazioni estetiche dei linguaggi ed i ridimensionamenti teorico-estetici di una certa ipocrita musicologia pop, leggera appunto. 

L'avanguardia non è un periodo storico, ma una categoria dello spirito! (Meditate, musici ciechi e sordi a voi stessi!).

E se la consapevole utopia esecutiva di alcune di queste partiture ha nutrito caparbiamente l'immaginario creativo delle loro grammatiche e dei loro mondi sonori, con quest'opera si calca ancora la mano, si scava ancora nella ferita: dall'essere ignorati si produce ancora estetica. Inattuale per necessità. Forte e virile per conseguenze.

Come un guerriero o un kamikaze, conscio di poter morire da solo tra le nuvole del precipizio della propria poetica ed esistenza, dedico questo mio lavoro agli uccelli e ai pipistrelli: gli uni come emblema supremo di libertà ed indiscussa superiorità tra gli "animali" attorno a noi, gli altri come nobili spazzini di moscerini inopportuni.

To Vayu and Varuna, Lords of Heaven and Air. 



INNER EMIGRATION 
for piano and orchestra (2006/07)







SCRITTURA DEL CORPO DOPO L'AMORE 
for choir and orchestra (2005)





Si cerca di esplorare attraverso la musica e il suono, il mondo interiore di due amanti che sperimentano emozioni e sensazioni, ma anche intensi e vividi ricordi tattili e visivi, dopo aver fatto l’amore. Ma anche, in un piano metaforico, dopo aver assistito alla fine del loro amore.
Voci e strumenti in cui ci si imita, ci si cerca a vicenda, integrandosi, mischiandosi tra le peculiarità timbriche e sonorità caratteristiche di ciascun musicista o vocalista. Le voci corali, personificando simbolicamente quelle dei dei protagonisti, gli amanti appunto, completeranno il lavorìo strumentale compiuto dai musici (corde, fiati, metalli), che a loro volta accoglieranno dentro le loro masse di suono, i tessuti provenienti dalle stesse energie vocali dei coristi.
La partitura pretende dialogare con la tradizione dei requiem "laici", vale a dire presenze acustiche (mentali) che ricordano con tristezza e dovizia tragica di dettagli lucidi e indimenticabili, la fine di qualcuno o di qualcosa: in questo caso, un sentimento, una relazione sublime e memorabile. 
Dopo che due corpi avviluppati in un abbraccio carnale intensamente inestricabile, per una ragione sconosciuta inseguiranno il loro destino da soli, lasciandosi, avviene qualcosa: qualcuno scrive loro un requiem appunto, una lista di ricordi dettagliati dei loro incontri o-sceni, cioè fuori la scena, dentro letti e piaceri, ed erotismi e unioni fisico-chimiche, energetiche. Amori. 
La polifonia fitta ed extra-tonale, i contrappunti lacerati da immagini timbriche tra le più inusuali e intrinsecamente caotiche, oniriche, intenzionalmente disordinate ma autentiche, restituiranno metaforicamente all’ascoltatore l’incontro-scontro desiderato e subíto. È certo che nessuno vuole separarsi dalla propria metà, ma l’inevitabilità della rottura è un dato di fatto. Da qui il lutto, il funerale emotivo che si celebra attraverso il suono e la sua presenza lirica dentro il cuore e la mente degli innamorati. 
Niente più abbracci, niente più sesso o libido, niente più desiderio, proiezione o illusione della permanenza nella vita e nel corpo dell'altro: solo il vuoto lasciato dal bianco delle lenzuola e dal nero dei segni forti e scolpiti dai movimenti corporali su di esse. Bianco e nero, la pagina. Di una partitura solenne e popolare. La certezza di aver stilato una cronaca, una cinematografia, un poema di ricordi visuali confusi nelle loro sequenze o durate, ma trasparenti e splendenti nella loro natura e nei loro suoni. 

An attempt is made to explore, through music and sound, the inner world of two lovers experiencing emotions and sensations as well as intense and vivid tactile and visual memories after making love. But also, in a metaphorical plane, after witnessing the end of their love. 
Voices and instruments in which we imitate each other, looking for each other, integrating, blending among the peculiarities of timbre and sonority characteristic of each musician or vocalist. The choral voices, symbolically personifying those of the protagonists, the lovers precisely, will complement the instrumental work accomplished by the musicians (strings, winds, metals), who in turn will welcome within their masses of sound the textures coming from the choristers' own vocal energies. 
The score purports to dialogue with the tradition of "secular" requiems, that is, acoustic (mental) presences that recall, with sadness and a tragic abundance of lucid and unforgettable details, the end of someone or something: in this case, a feeling, a sublime and memorable relationship. 
For some unknown reason, after two bodies entwined in an intensely inextricable carnal embrace pursue their destiny alone, leaving each other, something happens: someone writes them a requiem, precisely, a list of detailed recollections of their o-scene encounters, that is, offstage, inside beds and pleasures, and erotisms, and physical-chemical, energetic unions. Loves. 
The dense and extra-tonal polyphony, the counterpoints torn by some of the most unusual and inherently chaotic, dreamlike, intentionally disordered but authentic timbral images, will metaphorically return to the listener the desired and undergone encounter-counterpoint. It is certain that no one wants to separate from his or her other half, but the inevitability of rupture is a given. Hence the mourning, the emotional funeral that is celebrated through sound and its lyrical presence inside the hearts and minds of the lovers. 

No more hugs, no more sex or libido, no more desire, projection or illusion of permanence in each other's lives and bodies: only the emptiness left by the white of the sheets and the black of the strong marks carved by bodily movements on them. Black and white, the page of a solemn and popular score. The certainty of having penned a chronicle, a cinematography, a poem of visual memories, confused in their sequences or durations, but transparent and resplendent in their nature and sounds.  





for orchestra and percussions (2005) 

que todas las flores y las piedras que he recogido y lanzado 
del balcón del jardín de mi existencia puedan esta noche transformarse 
en la música mas poderosa y ligera que jamás haya concebido…!




play I part play II part 



Version para 5 instrumentos: 



“Scrittura dei Fiori e delle Pietre” es una composición para gran orquesta sinfónica, segunda parte de un ciclo tetralógico de obras orquestales tituladas “Escritura del Mar”, “Escritura de las Flores y de las Piedras”, “Escritura del Cielo (o del cuerpo después del amor)” y “Escritura de la Luz (o de la migración interior)”. 
Después de casi veinte años desde mi primera composición, este ciclo de cuatro obras mencionadas representa dentro de mi producción compositiva un desarrollo radical, más bien un parte aguas dentro de mi universo sonoro y mental, no solamente en el sentido estético, sino semiológico y consecuentemente formal. Incluso dentro de mi biografía “geográfica”, este parte aguas está expresado por el Océano Atlántico (evocado de cualquier forma en la primera obra “Escritura del Mar”), océano que separa Europa de América y metafóricamente mi mundo anterior de lo actual. 
La versión original para orquesta de “Scrittura dei Fiori e delle Pietre”, compuesta en 2005 durante mi estancia en Morelia como compositor residente en el Conservatorio de Las Rosas (Premio UNESCO 2005), inaugura un nuevo periodo dentro de mi producción artística que denomino a razón “periodo mexicano”. 




El percusionista solista en esta obra encarna una especie de alter ego emocional y existencial: el irrumpe golpeando o acaricia rozando los instrumentos, cuyos múltiples sonidos, según los variados timbres o los contrastantes volúmenes, evocan y recuerdan metafóricamente, como un diario misterioso, piedras y flores. Ya, las piedras: la mala acción, el error, lo oscuro, lo irracional, lo instintivo, lo involuntario, lo inconciente, quizás lo cruento, en general los sentimientos negativos hacia nosotros y hacia los demás. Y las flores, todo lo opuesto: es decir nuestros amores, lo que más conocemos y de lo que estamos convencidos, lo planeado, lo delicado y más hermoso que tenemos dentro y alrededor de nosotros. Por lo tanto la narración interior de esta obra reside en la articulación sonora entre estos dos mundos extremosos e irreconciliables, una tentativa de dialogo entre la tragedia y la comedia de nuestra vida, entre lo sombrío y lo suave, entre “las flores y las piedras que recogimos y lanzamos del balcón del jardín de nuestra existencia”. 

Desde un punto de vista estrictamente musical cabe destacar que uno de los propósitos de la composición es generar música a través de un sistema de notación que permite a los instrumentistas producir estructuras sonoras complejas y variables por cada ejecución a través de un sistema de notación innovador y por lo tanto un reto para los músicos que la abarcan y la interpretan, pues por empezar ellos aprenden a leer y a ejecutar la partitura de forma completamente nueva, haciendo tabula rasa de lo que convencionalmente dominan, o sea la escritura musical en el pentagrama. 

Los músicos en efecto no emiten “notas” siempre iguales a sí mismas, sino secuencias de sonidos infinitamente diversas aunque basadas en el mismo diseño formal. La partitura, de acuerdo con mis temáticas compositivas ya familiares desde hace muchos años, está construida sobre “estructuras generativas-evocativas de sonido” y por lo tanto nunca representativas, ni descriptivas. Las acciones sonoras (y sus articulaciones más o menos complejas) correspondientes a ciertas expresiones simbólicas, vienen pensadas y emitidas por parte de cada músico, sólo a través de una creativa, conciente y sobretodo versátil relación con su propio instrumento. Ellos elaboran en tiempo real los símbolos de la partitura interpretándolos a lo largo de escalas imaginarias por grados conjuntos ascendientes o descendientes (a través de glissando o intervalos cuartitonales). 

Los símbolos tienen duraciones y velocidades subjetivas a condición que estén expresados dentro del mismo compás. Dicho compás representa una especie de contenido de acciones sonoras y no un compás tradicional métricamente pre-concebido y re-ejecutable rítmicamente de una manera siempre igual a si misma, así como sucede convencionalmente en la música tradicional. 

En otras palabras, cada músico toca su propia secuencia de sonidos dentro de la duración total del compás, ellos no tocan convencionalmente “a tiempo”, sino dentro de un tiempo x del compás siempre variable en base a la velocidad con que cada músico decide completar su propia secuencia de acciones sonoras. Esta estrategia gramatical-semiológica (y semiográfica, pues se trata de expresiones simbólicas de original invención) está relacionada con temas y valores estéticos precisos, es decir la constante búsqueda de tensión ejecutiva, de inquietud perceptiva, de agitación temporal, de irracionalidad formal. Elementos de reflexiones y de obsesiones compositivas y estéticas que justifican cada día mi existencia en esta vida. 

The percussionist soloist in this work embodies a kind of emotional and existential alter ego: he bursts in, knocking or caressing, brushing against the instruments, whose multiple sounds, according to the varied timbres or contrasting volumes, metaphorically evoke and remind us, like a mysterious diary, of stones and flowers. Already, the stones: the bad actions, the mistakes, the dark, the irrational, the instinctive, the involuntary, the unconscious, perhaps the cruel, in general, the negative feelings towards ourselves and towards others. Flowers, on the other hand, represent our love, what we know the most and are most certain of, what is planned, what is delicate and most beautiful that we have inside and around us. Therefore, the inner narration of this work resides in the sound articulation between these two extreme and irreconcilable worlds, an attempt at dialogue between the tragedy and the comedy of our life, between the somber and the soft, between "the flowers and the stones that we picked and threw from the balcony of the garden of our existence".

From a strictly musical point of view, it is worth noting that one of the purposes of composition is to generate music through a notation system that allows instrumentalists to produce complex and variable sound structures for each performance through an innovative notation system. This is a challenge for the musicians who embrace and interpret it, because, to begin with, they learn to read and execute the score in a completely new way, making tabula rasa of what they conventionally master, that is, the musical writing on the staff. 

Musicians do not in fact emit "notes" always the same as themselves, but infinitely diverse sequences of sounds based on the same formal design. The score, according to my compositional themes already familiar for many years, is built on "generative-evocative structures of sound" and therefore never representational nor descriptive. The sound actions (and their more or less complex articulations) corresponding to certain symbolic expressions are thought and emitted by each musician, only through a creative, conscious and, above all, versatile relationship with their own instrument. They elaborate in real time on the symbols of the score by interpreting them along imaginary scales by ascending or descending joint degrees (through glissando or quartitonal intervals). 

The symbols have subjective durations and velocities provided that they are expressed within the same bar. Such a measure represents a kind of content of sound actions and not a traditional metrically preconceived and rhythmically re-executable measure in a way always equal to itself, as it happens conventionally in traditional music. 

In other words, each musician plays his own sequence of sounds within the total duration of the compás. They do not play conventionally "in time", but within a time x of the compás, which is always variable based on the speed with which each musician decides to complete his own sequence of sound actions. This grammatical-semiological strategy (and semiographic, since they are symbolic expressions of original invention) is related to precise aesthetic themes and values, i.e., the constant search for executive tension, perceptual restlessness, temporal agitation, and formal irrationality. Elements of reflections and compositional and aesthetic obsessions that justify every day of my existence in this life.  





for voice and orchestra (2004)



Anna Hauf, soprano; Tonkustler Orchester conducted by Christoph Cech




The composition investigates the concept of "sea" in all its lyrical, physical, and metaphysical significance and implications. The work is also a compositional challenge whose aim is the creation of a new acoustic orchestral sound.
Based on sound generative structures, "Scrittura del Mare" is a metaphorically transcendental dance for musicians dealing with a form of orchestration which is the result of a radically essential music notation requiring from the players very basic technical abilities in order to achieve the highest degree of complex fluctuating microtonal verticality.
In 2005, Scrittura del Mare was awarded the 3rd Prize at the International Orchestral Composition Competition ZEITKLANG, Austria. 




Con "Scrittura del mare" si compie un'utopia: rappresentare il suono in movimento, azzerare le polemiche e i dibattiti intorno alle grammatiche generatrici delle altezze dopo il serialismo, liberarsi di tanta muffa e museo. E agganciarsi alla tradizione non-narrativa della musica! Evocare, evocare, mai rappresentare.

Sei tu - ascoltatore - che devi perderti tra le pieghe ed irregolarità del suono, sei tu che devi ricrearti il mondo sonoro che io ti lascio intravedere tra le asimmetrie della mia vita. Sei tu che devi scegliere dove e quando soffermarti con l'orecchio e col cuore tra le trame di questa musica continua, senza inizio, né fine.

E l'immagine del mare, se figurativa o astratta, dovrai formarla tu nella tua testa. Sogno, mamma, caos, sublime, profondo, nero, trasparenza e molto altro c'e' in questo mare.

I verticalismi microtonali, la compresenza perenne di tutti gli strumenti d'orchestra, l'assenza di pause, i chiaroscuri naturali sottoforma di suono, le ascese e discese fisiche ed emozionali fanno di quest'opera un mattone importante dentro il palazzo in cui abito da tempo.

Un dato biografico: il mare che rappresentavo al momento della composizione era sicuramente siciliano, ibleo meglio. Ma era il mio di mare, quello interiore, che da lí a poco tempo si sarebbe agitato per vie atlantiche e atzeche. Ed il mare ascoltato durante l'esecuzione viennese del 2005 che divideva dentro me per sempre l'Europa dall'America, in cui mi ero recato in occasione del mio soggiorno Michoacano di Morelia, al Conservatorio de Las Rosas.

Era il mare in cui si inabissava il mio passato, il mare in cui buttavo dentro le mie emozioni e sentimenti e che separava i due continenti, il mare che avrei voluto inesistente per raggiungere al più presto l'ossessione-amore che sgretolava il mio corpo e il mio cuore. 

Lavoro fondamentale che considero uno "spartiacque" (!) tra la concezione armonica della musica derivata dall'occidente e dai suoi storici verticalismi e tra tutto ciò che avrei scritto appunto a partire da questa Scrittura: primo gradino tabula rasa, violento divertito irriverente manrovescio verso passato e repertori obbligat(or)i. Primo gradino di altre Scritture: dei fiori e delle pietre, del corpo dopo l'amore, del cielo o della migrazione interiore, del corpo prima dell'amore... 

A utopia is realized with "Writing of the Sea": to represent sound in motion, to focus on the controversies and debates surrounding the grammars generating pitches after serialism, and to get rid of so much mold and museum. Join in the non-narrative music tradition! Evoke, evoke, never represent.

It is up to you, listener, to lose yourself in the folds and irregularities of sound, to recreate for yourself the sound world I have allowed you to glimpse among the asymmetries of my life. It is you who must choose where and when to dwell with your ear and heart among the textures of this continuous music, without beginning or end.

And the image of the sea, whether figurative or abstract, you will have to form in your head. This sea contains dream, mother, chaos, sublime, deep, black, transparency, and many other elements.

The microtonal verticalisms, the perennial co-presence of all the orchestral instruments, the absence of pauses, the natural chiaroscuros in the form of sound, and the physical and emotional ascents and descents make this work an important brick inside the building in which I have been living for a long time.

A biographical fact: the sea I represented at the time of composition was definitely Sicilian, at Hyblean best. But it was of the sea, the inner sea, which would shortly thereafter be stirred by the Atlantic and Aztec ways. And the sea heard during the Viennese performance in 2005 that forever separated Europe from America, where I had gone during my Michoacano stay in Morelia, at the Conservatorio de Las Rosas.

It was the sea into which my past sank, the sea into which I threw my emotions and feelings and which separated the two continents, the sea that I wished to be nonexistent in order to reach as soon as possible the obsession-love that crumbled my body and my heart. 

This is a fundamental work that I consider a "watershed" (!) between the harmonic conception of music derived from the West and its historical verticalisms and between all that I would write precisely from this Scripture: The first step is a blank slate, a violently amused irreverent backhander toward the past and obligatory repertoires. Other Scriptures' first steps: flowers and stones; the body after love; heaven or inner migration; the body before love...  





PHANTOM 
for large orchestra (1998)



photo Damiano Meo


A piece really unique, esoteric and extravagant.
There are no pitches or rhythms,
instead symbols indicating the procedures
which allow the players to find their own motives or formulae:
87 musicians have to play their own parts 
according to certain simple algorithms. 
One could perform it but would have to invest 
several months of rehearsal...



Gyorgy Ligeti



extract from the result of the screening at

Next Millemium Composition Award
Tokyo, December 1997



“Phantom,” an orchestral composition for 87 musicians, is inspired by the idea of a phantom appearance. The work is written by means of the “notation system with incognitos,” which is based on the rigorous determination of relationships whereby sounds are always rigorously undetermined and therefore unknown before each performance. Sounds will be played in real time by the musicians through their own personal perception and formation of the music parameters. By means of subjective procedures of sound processing through intuitive numerical proportions, they will be asked to compose the sounds in accordance with their personal/technical background, life experience, taste, culture, aesthetic sensibility, etc.




Fantôme es una composición para orquesta sinfónica (para 87 instrumentistas) cuyo principio estético está inspirado en la idea de un fantasma, que se concibió metafóricamente en todas sus formas y manifestaciones. Su técnica compositiva (la forma) está estrictamente conectada bajo el principio (el contenido) en el cual toda la composición ha sido pensada y escrita mediante estructuras que indican una relación de parámetros indefinidos (células sonoras). En otras palabras, está basado en ladeterminación rigurosa de relaciones entre objetos (la macro-estructura), donde el objeto es un sencillo sonido (la micro-estructura) y este está rigurosamente indeterminado.

Fantôme no es una composición conceptual; los resultados acústicos que se persiguen deben manifestarse solamente mediante la técnica compositiva propuesta y la notación de incógnitos, elementos que favorecen un continuo sonoro siempre fresco, que se renueva constantemente —originado por la tensión emotiva e interpretativa que imprimen los intérpretes en tiempo real—, y así se forma una música que, como un organismo (o como un fantasma) se crea a sí mismo en el momento en el que se manifiesta a través de los sonidos.

¿Fantasmas?
¡Si no los veo, no deben existir!
¿Fantôme?
¡Si no la escucho, no debe existir!


Considerando que la irrealidad de los fantasmas jamás ha sido comprobada mediante principios intelectuales o demostraciones científicas de cualquier naturaleza, por analogía la realidad compositiva y sonora de Fantôme no deberían descartarse, a priori, mediante ciertos análisis o modelos intelectuales e ideológicos y esquemas que ya están consolidados por tradiciones culturales de cualquier naturaleza, ya que se estaría perdiendo el objetivo principal de un posible tipo de análisis, dado que la partitura no contiene indicaciones sonoras pre-imaginadas, re-presentables y re-escuchables; por eso, no hay una sencilla metodología aplicable a la previsión del completo resultado sonoro de esta obra.
Fantôme, como toda creación artística, lleva consigo las cargas estéticas y sociales (la percepción social) de la sociedad donde nació. Sin necesariamente exaltar, apoyar o convertirse en instrumento de nuevos modelos de comportamiento, el génesis de la composición ha sido inevitablemente influenciado por la cargas culturales del contexto social en el cual ha tomado forma.
Fantôme puede, entonces, ser interpretada como un espejo de los cambios radicales de los paradigmas sociales y culturales en lo cuales la comunidad de finales y principios de este milenio está inmersa: Individualismo, anarquía política e ideológica, hipercomunicación en video-tv, intersubjetividad multimediática sin una jerarquía u orden de cualquier tipo, autonomía política, local y periférica descentralizada de cualquier forma o control económico y social-cultural, pluralismo cultural y estilístico —fragmentación compositiva de tipo musical o estética, relaciones interraciales en el total orden político y social, y consecuentemente, la re-definición de los acuerdos generales internacionales con afectación a valores étnicos y sociales locales, tráfico de información multimedia a gran escala.

Estos son algunos de los puntos fundamentales en los que la sociedad del nuevo milenio tendrá, inevitablemente, que reflexionar y encarar con responsabilidad renovada.

Dignificar los valores principales de la existencia humana y la sociedad civil, incluidos los ámbitos del arte, la ciencia y la cultura en general. A partir de estas razones, Fantôme, por analogía, ha producido problemas de índole musical, de orden estético y compositivo: autonomía e interdependencia en la formación e interpretación de las partes instrumentales sin una jerarquía unitaria de cualquier tipo, relativización en la percepción y formación de parámetros musicales en las frases compositivas e interpretativas, cooperación intersubjetiva, anarquía e interpretación individualista de cada músico en la concertación y representación de la composición, asimilación intercultural teórica y práctica e integración en las elecciones de los músicos con consecuentes responsabilidades por las decisiones de orden creativo e interpretativo, re-definición teórica y perceptiva de la noción general de acorde, escala y sistema temperado.





En Fantôme es posible percibir intelectual y sonoramente (¿y por qué no?, ¡visual y táctilmente!) el pensamiento, el espectro (el espíritu, el alma y las personalidades físicas y artísticas) de los compositores de esta época del milenio. Esto es favorecido por las células sonoras contenidas en la partitura que, al estar vacías, pueden ser cubiertas por los instrumentistas con secuencias interválicas de cualquier tipo, logrando así producir imágenes sonoras y superposiciones tímbricas que vagamente traen de vuelta estilos o atmósferas musicales y emocionales pertenecientes a trabajos de compositores del pasado. Además, de esta manera, permite un evidente tipo de homenaje por parte del autor a la continuidad de la tradición musical a la cuál él siente que pertenece; y posiblemente echando a andar en el escucha misteriosos mecanismos de meditación- reflexión o respuestas a las interrogantes anteriormente mencionadas arriba.

Fantôme es un esqueleto sin vida, que espera manifestarse a sí mismo en el momento en el cual alguien o algo cree que puede animarle o hacerlo audible. La partitura contiene estructuras y procedimientos para la formación de los sonidos, relaciones de conducta en la interpretación y representación, y objetos sonoros nunca identificados a priori: esto es, objetos no perfeccionados y re-escuchables en cada representación.

Fantôme es una manifestación e irradiación musical, un mecanismo emocional y sonoro que encierra en sí las personalidades y subjetividades de cada músico dentro de una etapa histórica y bajo un ambiente acústico-temporal relacionado a las condiciones de su representación (la aparición sonora del fantasma).

¿El sonido es existencia?
¿La música es vida? 


En Fantôme, la ausencia de una absoluta determinación dentro de las células sonoras (contenedores musicales vacíos) —principio bacilar de su técnica compositiva a través de la notación musical con incógnitos— ,es interpretada como una de las posibles formas de transposición simbólica y metafórica, una representación de las inquietudes e interrogantes anteriormente mencionadas, que favorecen la ausencia de una absoluta determinación político-cultural o ético-social en los valores y certezas dentro de las organizaciones civiles, dando incertidumbre y expectación a la sociedad en los años venideros del presente milenio. Es por eso que el sonido no se ha pronunciado y la música aún no se ha manifestado a sí misma.

Las células sonoras están vacías porque esperan, ideal y prácticamente, a ser cubiertas con sugerencias y respuestas de naturaleza variada. Por ello, se le pide al instrumentista, en analogía con las razones expresadas arriba, responsabilidad y espíritu de consciencia en las decisiones tomadas en adelante dentro de su parte instrumental de la obra y, consecuentemente, hacia las partes de los otros instrumentistas: como no están definidas a priori las estructuras sonoras de cada unos de los 87 instrumentistas, la definición de una parte no solo depende de las decisiones personales de un instrumentista, también depende de la interrelación de las decisiones de los demás intérpretes. Esta interdependencia en la toma recíproca y responsable de decisiones — en tiempo real— de todos los instrumentistas debe estimular, de acuerdo al proyecto creativo del autor, la condición principal de hermosa y emotiva tensión sonora —siempre renovable— de toda la composición y su representación (el resultado acústico-musical).

Las posibles consecuencias de estas conductas interpretativas y procedimientos para la representación deberán traducirse en: más o menos una evidente diversificación en la identidad sonora de la composición para cada uno de sus representaciones, una sensación general de misterio psicológico y una impredecibilidad en los intérpretes y los escuchas en el flujo temporal del resultado sonoro.

Sobre la interpretación de la notación musical con incógnitos:


La notación con incógnitos está basada en la percepción subjetiva y la formación de los parámetros musicales con procedimientos de elaboración personales, a través del juego intuitivo de las proporciones numéricas por parte de los intérpretes. No existe una delimitación objetiva, teórica ni musical para la formación de escalas, de relación interválica, y en general de todos los componentes físicos y acústicos relacionados a la emisión de los sonidos. Entonces, todos los valores paramétricos son pensados a través de escalas ascendentes o descendentes de proporciones numéricas no necesariamente rigurosas, que nunca se fijan definitivamente y que son reutilizables en el mismo orden anteriormente empleado.
De acuerdo a diferentes niveles de expresividad que se exige y a las habilidades mnemotécnicas, el intérprete, antes de la fase de concertación general para montar la obra, puede decidir “trasladar” su propia parte instrumental —sustituyendo sus propios parámetros en los incógnitos— inevitablemente dejando fuera algunas estructuras “abiertas” solo para ser interpretadas por los demás músicos; seguramente sería preferible para los ejecutantes practicar a manera de memorización la lectura de las partes que les permita poner en práctica su formación bacilar como instrumentistas, estimulando la impredicibilidad en la formación y representación de las estructuras sonoras, sin comprometer la preparación psicológica y técnica de la obra.
La dirección para leer la partitura es desde la parte superior hasta el final o fondo de la página. Ya que no hay agrupación de los instrumentos mediante su familia orgánica o por el registro —existiendo, de hecho, algunas partes exclusivamente monofónicas—la sucesión o flujo temporal de los eventos sonoros está estrictamente ligada a la elección de instrumentación hecha por el autor, y estas últimas influenciadas por la disposición espacial en el escenario por parte de los intérpretes. De hecho, la disposición particular de los instrumentistas está justificada por la necesidad de favorecer la escucha recíproca entre los músicos con instrumentos de naturaleza cada vez más distinta entre ellos, para
estimular y obtener estructuras compositivas y superposiciones tímbricas entre los distintos grupos de instrumentos diferenciados por su naturaleza y cantidad.
El papel del director —co-compositor de la obra junto con la orquesta— consiste en definir, tanto en los ensayos como en tiempo real, las frases musicales, las conexiones y los ataques en las partes solistas de cada instrumentos y en consecuencia aquellas que conforman las macro-estructuras. La simultaneidad de representación dada en la escritura instrumental (entradas de cada instrumento) debe ser leída de arriba hacia abajo de la página, y no de izquierda a derecha como en las partituras polifónicas convencionales. Los intérpretes, para una comprensión más rápida e inmediata de la audición total, deberán contar con todas las páginas de la composición con todas las secciones de los instrumentos, porque, como se ha mencionado arriba, la definición de uno o más parámetros para una secuencia que un instrumentista esté a punto de desarrollar, puede depender de los parámetros y elecciones hechas por otros ejecutantes anteriormente.
El incógnito x es, a priori, una entidad sonora indefinida, determinada únicamente por el intérprete; de acuerdo a su trabajo técnico y expresivo personal, sus propias experiencias de vida, sus gustos, cultura, sensibilidad estética y, en general, a su propia percepción relacionada con las elecciones técnicas de los otros instrumentistas y la atmósfera expresiva que suceda durante la atenta audición, —con versiones cada vez más variadas entre cada ensayo— de la representación de la obra, aún si existe alguna derivación de la concepción formal de la composición. El incógnito, un microorganismo o gesto acústico más o menos corto y memorizable, contiene ad libitum, información (datos) de los siguientes parámetros que constituyen al sonido:
La altura o articulación de las alturas (glissandos), definida o indefinida en todas sus significaciones acústico-teóricas, jamás tiene interrupción por silencios (hay una continuidad sonora);

-La dinámica o la intensidad y sus posible articulación interna;
-La identidad tímbrico-expresiva (más o menos articulada);
-Duración total (más o menos corta, para facilitar su memorización).






SUB SPECIE INTERIORITATIS 
for orchestra (1994)







A ventiquattro anni: viginti quattuor. Come le ore del giorno, 
i ventiquattro quarti di tono di una scala ascendente, come 
ogni altra analogia con lo stesso numero: una musica per 
orchestra senza note, ma di ritmiche o percussioni semmai
che trovano il disegno interiore, la pulsazione, trovano la vita 
dentro il propio suono dal numero che indica il gruppo
irregolare entro cui pensare prima contando e suonare 
poi, le espressioni numeriche indicate. E allora anzitutto 
l’organico strumentale di una orchestra senza timpani o 
grancasse, senza alcuna batteria o stratagemmi per ascoltare 
tamburi sotterranei o increspature di ritmici colori. Solo i 
canonici dunque, ma sempre attuali strumenti ordinati per 
famiglie di legni, ottoni ed archi. E il monogramma poi, 
come a sottolineare le indicazioni e invenzioni meramente 
ritmiche delle frasi, dei contenitori o battute sulle quali 
adagiare i vestiti o le coperte di suoni, note ed intervalli. 
I musici non leggono altezze precise: sullo schema temporale
scelgono in reale tempo il suono a loro congeniale e
accolgono senza alcun calcolo o pregiudizio, ciò che in 
quel preciso istante gli si illumina dal corpo. Una nota non 
qualsiasi, o a caso e improvvisata senza alcun senno o logica: 
ma quella che ascoltandosi dentro appaia a loro consona e in 
armonia, o al contrario in opposta disarmonica, per contrasto 
o come bastian contrario, quella comunque più adeguata. Non 
smettono di ascoltare perciò il suono globale i musici. Fare 
musica d’altronde è l’obbiettivo: riequilibrare ovvero 
forze o sonori meccanismi. E non importa se il suono emesso, 
dalla spinta ritmica del monogramma, sia puro o impuro. 
Se in crescendo o diminuendo, se statico, se con tecnica 
estesa come armonico o multi fonico, o sul ponticello e 
pizzicato, in portamento o estremo glissando ascendente o 
discendente. Valuteranno i musici: ascoltandosi e riascoltandosi 
ogni qualvolta decideranno di eseguire in pubblico sotto le 
spoglie dell’interiorità a loro più vicina, e amplificata da 
adrenalina ed emozione, o da timori e ansie da scenario. E 
dunque provano e riprovano le più diverse timbriche 
combinazioni e di volumi, di tecniche e agogiche. Riprovano 
per impossessarsi del vocabolario che in seguito, in sede finale 
con il pubblico di fronte, domineranno per poter librare tra il 
concerto le proprie scelte, la propria parte responsabile verso
tutto il resto. E il direttore che col suo gesto, con le braccia 
ampie e con la danza del suo accelerando o ritardando, come 
un flusso continuo o andirivieni di battito ed enfasi nella figura 
del suo abbracciare i musici, farà la differenza come a voler 
significare, tra il pubblico e l’emozione di un concerto e i suoi 
tanti rituali, ordine e calore tra suoni in apparenza scomposti
e senza accordi noti o melodie rintracciabili tra le orecchie e
consuetudini di secoli e geografie. L’orchestrazione frammentata,
le armonie tra insiemi e micro tonalismi imprevedibili o da 
ricostruire ogni qualvolta le formazioni strumentali si raccolgono
attorno al suo maestro come anime intorno a una cometa. 
Riassumendo, prima di lasciare all’elaborazione di quanto appena
detto da musici e direttore, ogni nota indicata in partitura battezzerà
dunque ciascuna un proprio suono o striscia di suoni secondo 
dinamiche d’immaginazioni in cui volumi e tecniche o raggio di
intervalli, creeranno incastri e meccanismi senza alcun controllo 
o ripetizioni da studiare. Saranno invasi invece da energetica unione
di suoni e fantasie. La scatola metrica riempita da senso e luce
mediante scelte consapevoli e intenzionali con l’obbiettivo di
voler far nascere da casse e forme di legni, corde e ottoni, una musica
profonda ed interiore: una musica che nasce dal corpo. E dunque 
suoni come colori e come stelle, come fiori che si aprono all’
orecchio di chi ascolta o di chi è distratto, di chi si annoia o gioisce
tra i rumori e gli umori di questi anni saturi e stanchi. I numeri che
leggi, tra aggregazioni pari o dispari, tra alternanze di scuri o meno
scuri, ovvero di suoni e pause, si conteranno soli e solo in mente: 
sono divisioni e separazioni psicologiche o esperienziali, non 
geometriche e dunque precise o fisse, sono forme di assembramento
energetico, gabbie di regole illusorie da cui far scaturire, tutti 
insieme, tra musici e spettatori, una anarchia senza alcuna disciplina
di relazioni acustiche e neuronali da assaporare nella mente, da 
inghiottire con le orecchie sempre attente o abbandonate senza 
scrupoli tra innocenze o saggezze secolari. 



ASCOLTA! 
for soli, choir and orchestra (1994)




Una grande e immensa orchestra per una vita vissuta tra suoni e
liriche esecuzioni di musiche artificiali, di verità accennate, di
umane esperienze ricche di linfa, di acute riflessioni seppur con
tanti errori, che come in un bianco e nero Tao, si disperdono adesso
tra allucinazioni e abissi. Un Requiem concepito a 24 anni, a
seguire dopo “Sub Specie Interioritatis”: come a voler confermare
ed estendere nella essenziale e numerica scrittura orchestrale, un
messaggio ambizioso e universale: il suono è morto, la necessità
di riempirlo con precise note e sequenze ripetibili di melodie da
armonici incontri di altezze, non possiede però né manifesta più forti
necessità estetiche. Il pentagramma non è vuoto per incapacità
creative, ma per rappresentare appunto la doverosa assenza di un
corpo disegnato sempre uguale a se stesso, quando ogni cosa fuori
ci suggerisce amare riflessioni, ma anche gioiose isole da far
esplodere di senso con fantastiche e anarchiche strutture di suono,
in cui gli interpreti, musici o cantori, possono specchiarsi e sentirsi
ricchi, vivi, floridi, anche se fuori respirano morte e si annientano
da soli. Gli strumenti sono tanti, certo. E le voci ancor di più: questo
è un movimento di anime, di contenitori quantici di suono, è uno
scheletro che ritrova il proprio corpo attraverso la spinta interna che
gli interpreti gli tuffano addosso nonostante gabbie-involucri in
partitura. E il direttore fluttua insieme al suono, sì, danza coi venti
dei fiati, si protegge dagli strappi percussivi, e viene accarezzato dai
movimenti degli archi che come abbracci o sguardi, accolgono come
venature silenziose la manifestazione dei suoni nello spazio. Le voci,
tra solisti e coro, sono però concetti e porzioni di altri corpi, permettono
all’orchestra di legare e unire i timbri come colori proiettati sull’asfalto
più buio o sul cielo di una mappa siderale. Ascolta, dunque: immergiti
tra le battute vuote in partitura e abbandonati al flusso di questo caos
ordinato di strutture verticali sconquassate dalla vita e dalla morte, e
con regole d’esecuzione perfettamente uguali a quelle di “Sub specie”:
mediante scale invisibili di glissandi ascendenti e discendenti, i musici
suonano e cantano scivolando con i suoni dall’alto o portandosi dal
basso verso altezze istintive, leggiadre, dolci o rumorose. Non saltano
mai tra suoni, ma li illuminano o subissano, trascinandoli o accarezzandoli
secondo il momento d’espressione, in accordo all’istante in cui cervello
e cuore, istinto e ragione accetteranno un abbraccio di armonia tra
sensi e ordine. E i cantori non avranno testo, non useranno dunque mai
occlusive consonanti, né fricative né approssimanti, ma sussurreranno
o urleranno come metafore di senso tra il non-senso della vita, vocali
liquide e sonore, come gelidi schiaffi o pugni di fuoco tra l’orchestra di
cristallo e di cemento. E infine perché scriversi un Requiem per celebrare
o ricordare la propria morte e a soli 24 anni? Nessun funerale, nessun
morboso o triste attaccamento alla vita, certamente. Ma un tentativo di
voler registrare in vita, la bellezza dell’esistenza ma che si percepisce a
quell’età incominciare a svanire, a dissolversi, a gradualmente perdere
carica ed energia vitale, appunto, come serena accettazione dello spirito
più vero che l’esistenza regala al corpo e all’intelletto: requiem come
riposo o come festa per aver eguagliato nella fisiologica costituzione lo
zenit del proprio corpo? Mastodontica compagine orchestrale, dunque,
come metafora o analogia con la grandezza e complessa struttura corporale
e di esperienza, di aneddoti e opere che nate dalla vita saranno per sempre
donate all’esistenza senza paura o affanno? Tanti strumenti, oltre cento
sicuramente, e le altrettante voci che da sole o in coro rispecchieranno i
tanti io e gli innumerevoli sé che durante quegli ultimi decenni trascorsi a
costruire ed accettare ogni contraddizione d’esistenza, assisteranno
in volo o sottoterra a inevitabili sparizioni o trasformazioni nello spazio
d’infinito, che questa notte esploderanno con suoni e quiete d’universo.